
Geolocalizzazione e smart working dall’estero: cosa possono (e non possono) fare le aziende secondo la normativa italiana
La diffusione dello smart working dall’estero ha evidenziato nuove sfide normative e rischi legati alla privacy dei lavoratori. La geolocalizzazione, in particolare, rappresenta un tema delicato che le aziende devono gestire con attenzione per rispettare il GDPR e il Testo Unico sulla privacy. Le aziende non possono tracciare la posizione dei dipendenti senza motivazioni specifiche, comunicate chiaramente e sottoposte a consultazione sindacale. Un recente caso di sanzione ha ribadito l’illegalità di controlli GPS generalizzati senza fondati motivi, con pesanti conseguenze economiche e reputazionali. Tuttavia, esistono situazioni eccezionali in cui il controllo è ammesso, purché limitato, trasparente e documentato. Il rispetto dei diritti privacy lavoratori smart working è fondamentale, garantendo ai dipendenti informazioni complete, possibilità di negare consensi non necessari e strumenti per difendersi da abusi. Operare dall’estero implica anche conoscere le variazioni normative tra Paesi UE, con necessità di policy uniformi e consulenze specifiche. Le sanzioni per geolocalizzazione illegittima sono severe, arrivando fino a milioni di euro, e includono danni reputazionali. Per questo, le aziende devono adottare regolamenti conformi, formare il personale e privilegiare controlli non invasivi, mentre i dipendenti devono essere informati e pronti a segnalare violazioni. Il futuro del lavoro agile richiede un equilibrio tra controllo e tutela della privacy, indispensabile per un ambiente lavorativo sostenibile e rispettoso.