
Demansionamento nel pubblico impiego: limiti e tutele
Il demansionamento nel pubblico impiego rappresenta un tema cruciale nel diritto del lavoro italiano, particolarmente rilevante per la tutela della dignità e professionalità dei dipendenti pubblici. A differenza del settore privato, il dipendente pubblico gode di una normativa più rigorosa, sancita dall'art. 52 del D.Lgs. 165/2001, che vieta l'assegnazione di mansioni inferiori rispetto al proprio profilo professionale, salvo casi eccezionali, temporanei e debitamente motivati. La giurisprudenza, con pronunce della Cassazione, ha ulteriormente chiarito che il demansionamento è illecito se non giustificato da ragioni urgenti e documentate, sottolineando il peso delle competenze acquisite e la necessità di un bilanciamento tra esigenze organizzative e tutela del lavoratore. Un esempio emblematico è il caso dell'infermiera costretta a mansioni inferiori, ritenuto dalla Corte un illecito che lederebbe la carriera e la dignità del lavoratore, con conseguenze economiche e professionali rilevanti. Di fronte a ciò, il datore pubblico ha l'obbligo di valorizzare le competenze e di gestire le risorse umane evitando demansionamenti ingiustificati, che determinano non solo danni individuali, ma anche ripercussioni sull'efficienza del servizio pubblico. Le deroghe ammesse sono limitate a situazioni urgenti, sempre temporanee e motivate da interesse pubblico, pena l'illegittimità e la possibilità per il dipendente di ottenere reintegro e risarcimento. La gestione corretta e trasparente delle risorse umane, insieme al ruolo attivo del sindacato e a una giurisprudenza sempre più attenta, costituiscono gli strumenti essenziali per tutelare i diritti dei lavoratori e mantenere alta la qualità della pubblica amministrazione.